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Pillole di
storia dell'arte Il termine Minimalismo è utilizzato per la prima volta nel 1965 dal critico inglese Richard Wollheim nell’articolo dal titolo “Minimal Art”, pubblicato in Arts Magazine. Esso indica un radicale cambiamento del clima artistico che si manifesta inizialmente negli USA con l'eliminazione di tutto ciò che viene percepito come non essenziale, per privilegiare l’utilizzo di forme primarie ed elementari, la ripetitività dell'immagine e l’ispirazione all’universo industriale. Altri termini talvolta utilizzati per definire questo movimento sono ABC Art, Object Sculpture, Specific Object, Unitary Object, Cool Art, Primary Structures, Literarist Art. Sono considerati protagonisti della Minimal Art americana Carl Andre, Dan Flavin, Donald Judd, Sol Lewitt, Robert Morris, Frank Stella, Robert Ryman, Agnes Martin, Barnett Newman (che realizza quadri con grandi campiture interrotte solo da qualche banda verticale di altro colore), Robert Rauschenberg (White Paintings: tele assolutamente bianche) e Ad Reinhardt. In Europa aderiscono al minimalismo il francese Yves Klein, il polacco Roman Opalka, i tedeschi Blinky Palermo e Ulrich Ruckriem e gli italiani Piero Manzoni, Francesco Lo Savio, Sergio Lombardo, Giulio Paolini, Giorgio Griffa, Gianni Piacentino, Giovanni Callisto ed Enrico Castellani. I lavori minimalisti sono costituiti da grandi volumi geometrici, da unità elementari primarie, monolitiche, con forme cubiche, rettangolari e simili, da elementi organizzati in strutture aperte e sequenze seriali. I materiali utilizzati sono di tipo industriale ed edilizio (pannelli di legno, lastre di metallo, formica, plexiglass, vetro, mattoni, travi, tubi fluorescenti). L'installazione degli elementi sul pavimento o sulle pareti è in diretto rapporto con lo spazio espositivo.
Spesso le opere sono realizzate attraverso procedimenti
industriali, a scapito dell'artigianalità, in quanto si
preferisce sottrarre l'esecuzione alla mano dell'artista per
affidarla alla precisione dello strumento meccanico.
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